Viviamo in un mondo attraversato da troppe sofferenze e angosce evitabili. Non vengono messe in campo istituzioni e pratiche che consentono di realizzare quella convivenza pacifica e quello sviluppo armonico che l’umanità oggi potrebbe permettersi grazie alla tecnologia e all’evoluzione sociale e politica.
Ormai quasi un secolo fa Keynes scriveva parole belle che sono, però, rimaste tali; egli pensava ad un mondo dove la passione per il denaro e l’avarizia sarebbero finalmente divenute un vizio, e non la molla della crescita e dello sviluppo; l’umanità si sarebbe potuta dedicare, finalmente, alle arti e alla musica e sarebbe iniziata la “vita civile”.
Tutto ciò non è avvenuto anche a causa degli economisti: essi hanno abbandonato gli insegnamenti di Keynes o li hanno piegati al volere del Principe; di un Principe troppo avvezzo ad obbedire ai potentati economici e politici e ad assecondare il vizio della passione per il denaro.
Il testo intende presentare riflessioni che si ispirano alle idee keynesiane su tre rilevanti e, spesso, drammatici problemi del tempo che viviamo: la globalizzazione, la guerra e la disoccupazione.
I saggi mostrano come, laddove l’economista ortodosso si limiterebbe a proporre poche sterili riflessioni a difesa del mercato, chi si muove nel solco dell’economia politica keynesiana ha da offrire contributi interessanti per una migliore comprensione dei fenomeni e per la costruzione di politiche adeguate a correggere gli esiti di un mercato che, senza regole che lo orientano e istituzioni che lo governano, conduce verso il disordine e la barbarie.